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L’impatto psicologico della pandemia in Italia

By Febbraio 9, 2022 Dicembre 29th, 2022 No Comments

Se le evidenze degli studi attuati in Cina sugli effetti psicologici della quarantena nella popolazione generale e sull’ impatto psicologico della pandemia COVID-19 nella popolazione degli operatori sanitari, possono averci consentito un vantaggio cronologico nella comprensione del fenomeno, è anche vero che ciascun Paese ha vissuto effetti psicologici diversi in virtù dei diversi livelli di esposizione al virus e dell’integrazione, diversamente realizzata, di più livelli di intervento nell’ambito delle attività di risposta alla pandemia.

In Italia i cambiamenti radicali nella quotidianità, il lockdown, i bollettini quotidiani dei conteggi e dei decessi, le testimonianze di operatori sanitari, di sopravvissuti alla malattia e alla morte dei loro cari avvenuta nel più totale isolamento dagli affetti dei familiari, cosi come l’isolamento degli operatori rispetto ai loro figli, sono solo alcuni dei molti aspetti che nel primo periodo del 2020 hanno sconvolto la vita di tantissime persone.

Le emozioni che si sono susseguite sono state molte e osservabili con intensità diversa in relazione al livello di esposizione al virus e alla fase che il proprio territorio andava attraversando.

La paura è stata l’emozione più diffusa nella popolazione. La paura è infatti un emozione primaria ed è fondamentale per la nostra sopravvivenza, ma quello a cui si è assistito è stato un eccesso di paura, che spesso degenerava in scene di panico collettivo come gli assalti ai supermercati o le partenze a seguito della chiusura dei confini Regionali.

All’ estremo opposto c’è stata la sottovalutazione del rischio, come di fronte ad un nemico invisibile, alimentata de meccanismi difensivi quali la negazione, (“si tratta di una semplice influenza”) o addirittura il diniego della realtà (“non è vero che esiste il COVID”). In alcuni casi, l’ evitamento post traumatico ha comportato un deficit di auto ed etero- protezione importante, come ad esempio il ritardo nel dichiarare i sintomi e il continuare a recarsi sul posto di lavoro con il rischio di contagiare molte persone.

Emozioni come la rabbia e l’impotenza hanno accompagnato il modo in cui ciascuno di noi andava dispiegando dentro di sé il processo di significazione di ciò che stava accadendo. Qualcuno ha cercato di identificare un colpevole per cercare di nuovo di percepire un livello minimo di controllo, contribuendo di fatto ad innalzare lo stigma. E poi la tristezza soprattutto per i tanti lutti senza commiato.

Infine, si aggiunge il senso di colpa nelle sue diverse declinazioni; la colpa per essere sopravvissuti; la colpa per non riuscire a guardare negli occhi un vicino di casa che magari aveva perso un caro per Covid-19; la colpa per essere stati veicoli di contagio e talvolta di morte per un proprio caro. Negli operatori sanitari e nei soccorritori è stato intenso, soprattutto inizialmente, il senso di colpa legato all’essere potenziali veicoli di contagio per i propri figli, per la propria famiglia, per i colleghi e per i pazienti. Purtroppo la realtà delle cose ha confermato, in numerosi casi, il vissuti degli operatori.

Con specifico riferimento al tema del contagio e del rischio suicidio, durante la pandemia Covid-19 lo scrittore Badiusco, originario di Shangai ma emigrato in Australia, nel suo “Diario di Wuhan” ha raccontato varie storie tra le quali anche quello di un suicidio avvenuto a Wuhan di un uomo risultato positivo al tampone che, non trovando posto in ospedale, avrebbe deciso di impiccarsi con una corda a un ponte per paura di tornare a casa e infettare la famiglia.

Dr. Antonello Melis
Psicologo • Psicoterapeuta
Cagliari

Tel. + 39 320 2691668

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