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Psiche e Dieta

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Il momento dell’alimentazione ha sempre assunto per l’uomo significati che sono andati ben oltre la funzione nutritiva.

Non esiste situazione più complessa, per le sue implicazioni sociali, religiose, psicologiche, di quella alimentare; la nostra specie ha infatti trasformato il bisogno primario di nutrirsi in un’occasione di scambio e di relazione. Inoltre, a differenza degli altri esseri viventi, attenti a difendere il cibo da predatori, gli esseri umani amano mangiare in gruppo: condividere il momento del pasto è un’istituzione culturale profondamente radicata, un’abitudine ricca di significato, in cui si possono rintracciare regole, riti e usanze. Cibo e alimentazione in questo contesto rivestono una ampia moltitudine di significati, è facile rendersi conto di quali implicazioni psicologiche possono essere veicolate.
L’attenzione al corpo, alle sue forme e al peso è un fenomeno psicologico, affettivo, sociale e culturale che ha contraddistinto in modo particolare la storia del mondo occidentale degli ultimi decenni. Utilizzare il corpo per esprimere un disagio psicologico attraverso comportamenti alimentari disfunzionali che possono assumere anche connotazioni patologiche è ormai una tendenza, una realtà sempre più diffusa nella società in cui viviamo, tanto da essere considerata una vera e propria emergenza in ambito sia sociale che sanitario.
Queste nuove forme di disagio psicologico, che si collocano lungo un continuum che vede ai due estremi la magrezza estrema oppure l’obesità, si inseriscono in un contesto sociale che mostra non poche contraddizioni: da un lato, infatti, l’immaginario del prototipo di donna ideale è sottoposto a una profonda rivoluzione, spostandosi verso una sempre maggiore esaltazione della magrezza e dall’altro l’alimentazione si è fatta più ricca e abbondante, con un continuo invito ad eccedere.

I disturbi dell’alimentazione e della nutrizione sono definiti e classificati dall’American Psychitaric Association nella quinta edizione del Diagnostic and Statical Manual of Mental Disorder (DSM V) come persistenti disturbi del comportamento alimentare e/o comportamenti finalizzati al controllo del peso che danneggiano la salute fisica e il funzionamento psicosociale e che non sono secondari a nessuna condizione medica. È importante sottolineare che i disturbi del comportamento alimentare (DCA) condividono tutti lo stesso nucleo psicopatologico: la tendenza a giudicare il proprio valore in modo esclusivo in termini di peso e di forma del corpo.

Nella pratica clinica è molto difficile imbattersi in forme così dette pure, poiché tali disturbi tendono a persistere nel tempo e a migrare da una forma all’altra della stessa categoria diagnostica.

Anche l’organizzazione mondiale della sanità sottolinea l’importanza dell’argomento, nel suo rapporto ufficiale evidenzia come nei paesi industrializzati ogni 100 ragazze in età di rischio (12-15 anni), 10 soffrono di qualche disturbo del comportamento alimentare, 1-2 nelle forme più gravi. Si tratta di patologie gravi che possono avere un decorso prolungato e tendere alla cronicizzazione (20-30%). Frequentemente questi disturbi si manifestano in comorbilità con altri disturbi psichici (30-50% disturbi d’ansia, depressione, dipendenze) e presentano, in particolare per quanto riguarda l’anoressia nervosa, un indice di mortalità molto alto (5%) che ne fa la seconda causa di morte fra le adolescenti dopo gli incidenti stradali e la prima tra le patologie psichiatriche.

L’anoressia ha un’incidenza stimata di 8 nuovi casi ogni 100.000 donne in un anno, mentre la bulimia nervosa di 12 casi per 100.000 donne in un anno. Negli studi clinici condotti, i maschi rappresentano il 5-10% dei casi di anoressia, il 10-15% dei casi di bulimia e il 30-40% dei casi di binge eating disorder.

Le cause

Data la rilevanza, dal punto di vista sociale e sanitario, di questo quadro clinico, la letteratura scientifica che si occupa di indagare questa tematica si è interrogata riguardo le potenziali cause di esordio e di mantenimento di un disturbo tanto invalidante e ha messo in evidenza il coinvolgimento di specifici fattori biologici, ambientali, culturali e comportamentali nell’incrementare il rischio di sviluppo del disturbo. La stessa letteratura pone in luce inoltre, come i problemi di obesità abbiano spesso origine durante l’infanzia. Frequentemente questi soggetti iniziano ad utilizzare il cibo e l’alimentazione come forme di autocura e di autoregolazione per fronteggiare eventi di vita particolarmente avversi, soprattutto nei primi 18 anni di vita, e il disagio psicologico da essi generato.

Indagando i fattori di rischio di origine traumatica nell’esordio dei disturbi del comportamento alimentare è emersa un’associazione importante tra abuso sessuale e anoressia nervosa e bulimia nervosa. Nonché un’associazione tra abusi sessuali, fisici, psicologici e trascuratezza durante l’infanzia e comparsa di condotte bulimiche e di eliminazione durante il corso della vita. I soggetti che durante l’infanzia hanno vissuto tali abusi hanno un maggiore rischio di sviluppare questa patologia. Ognuna di queste esperienze traumatizzanti ha un forte impatto negativo sullo sviluppo psicologico, cognitivo ed emotivo di questi bambini che possono mostrare notevoli difficoltà nella regolazione delle emozioni e una maggiore incidenza di disturbi psicologici durante la loro vita.

Gli studi condotti hanno mostrato come i soggetti con disturbi del comportamento alimentare avevano una probabilità significativamente maggiore di aver sperimentato, nel corso dei primi anni di vita, traumi ripetuti interpersonali.

Le esperienze traumatiche che forniscono le basi per la futura patologia vengono registrate e conservate all’interno del sistema mnestico in una forma non elaborata, insieme all’emozione ad essa collegata, alle sensazioni fisiche e alle credenze negative irrazionali a essa legate.

Il ruolo delle esperienze sfavorevoli infantili, i traumi relazionali, i traumi dell’attaccamento e gli eventi di vita traumatici sono ampiamente riconosciuti come fattori di rischio per lo sviluppo di questa patologia così come sottolineato anche dal DSM V.

Tra i fattori di rischio ambientali per i disturbi alimentari il DSM V riporta: situazioni di vita stressanti e problemi nella relazione genitore – bambino; l’interazione genitore – bambino può contribuire ai problemi di nutrizione del bambino o aggravarli. Ci potrebbe essere inoltre coesistenza di psicopatologie nei genitori, ansia familiare, eventi di vita stressanti, condizioni interpersonali stressanti che aumentano il rischio di sviluppare disturbi del comportamento alimentare.

La terapia

Appare pertanto fondamentale individuare un metodo psicoterapeutico che intervenga direttamente su tali esperienze traumatiche precoci, per consentire l’elaborazione e la risoluzione adattiva, andando così a intervenire in modo diretto sui fattori di rischio alla base dell’insorgenza e del mantenimento del disturbo stesso.

Il trattamento di queste patologie risulta sempre abbastanza complesso e articolato, per questo è importante fare riferimento a un approccio evidence-based centrato sul trauma e ampiamente riconosciuto dalla comunità scientifica come l’EMDR (eye movement desensitization and reprocessing) che

agisce sulle esperienze che sono alla base delle patologie e disfunzioni alimentari. Ad oggi l’efficacia dell’EMDR nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare è stata ampiamente dimostrata da numerosi case study. È necessario utilizzare un metodo psicoterapeutico che intervenga sulle esperienze traumatiche, noti fattori di rischio; è importante fare riferimento ad un metodo evidence based riconosciuto a livello internazionale e garantito dall’OMS. L’EMDR ha queste caratteristiche e viene applicato in ambito psicoterapeutico per risolvere le conseguenze di eventi traumatici che sono spesso alla base di diverse psicopatologie.

 

Dr. Antonello Melis
Psicologo • Psicoterapeuta
Cagliari

Tel. + 39 320 2691668

info@antonellomelis.it

 

La psicologia della coppia. Perché scegliamo quel partner e non un altro?

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Spesso nell’esercizio della pratica clinica vengo contattato per problemi inerenti la vita di coppia. I quesiti che mi vengono posti sono di solito sempre gli stessi, la maggior parte dei pazienti vuole comprendere quali siano i motivi che li portano a ripetere sempre gli stessi errori o come mai attraggano e vengano attratti dalla stessa tipologia di partner, dando spesso vita a relazioni disfunzionali.

In questo breve articolo andremo ad analizzare quali siano i motivi che ci portano a scegliere quel partner tra tutti gli altri, e quali siano le condizioni che consentano un buon funzionamento della coppia. Cosa c’è quindi alla base della possibilità di costruire un buon rapporto di coppia?

Sicuramente l’aver raggiunto una buona maturità emotiva e consapevolezza di sé stessi, ovvero aver sviluppato un sufficiente senso di sicurezza e la capacità di tollerare sentimenti ambivalenti. Questo consentirà di poterci relazionare con gli altri, ma ancor prima con noi stessi. La maturità emotiva è la risultante di un buon rapporto con le figure di attaccamento e consente gradualmente il passaggio dalla fase di dipendenza a quella di autonomia.

J. Bowlby, teorico dell’attaccamento, affermava che i bambini durante il loro sviluppo interiorizzano le esperienze vissute con i genitori, in particolare con la madre, figura di attaccamento principale. Queste prime relazioni “di attaccamento” diventeranno un modello per le future relazioni adulte. Il bambino durante l’infanzia, crea un legame “particolare” con le figure che si prendono cura di lui, di cui la più nota è la mamma. Tale legame prende il nome di “legame di attaccamento”, non è altro che la risultante di un pre- programmato sistema di schemi comportamentali innati che si sviluppa durante i primi mesi di vita ed ha lo scopo di garantire la sopravvivenza del piccolo.

Partendo da queste considerazioni e prendendo come punto di riferimento la teoria dell’attaccamento vediamo quali sono i meccanismi che portano alla formazione e al mantenimento delle relazioni di coppia tra gli adulti.

Esiste oggi una documentazione impressionante a testimonianza del fatto che lo schema di attaccamento che un individuo sviluppa è profondamente influenzato dal modo in cui i suoi genitori lo hanno trattato. Gli studi condotti su questa tipologia di legame indicano quelli che sono i principali stili di attaccamento:

  • –  Attaccamento sicuro, il bambino sviluppa un senso di fiducia nella disponibilità, comprensione e aiuto del genitore in caso di situazioni avverse o per lui terrorizzanti.
  • –  Attaccamento ansioso, è caratterizzato dal bisogno di mantenere la vicinanza con il genitore vissuto come imprevedibile e incerto. A causa di questa incertezza il bambino è incline all’angoscia da separazione, l’esplorazione del mondo gli crea ansia e tende a rimanere in una condizione di dipendenza a causa della difficoltà a tollerare la separazione.
  • –  Attaccamento evitante, si tratta di bambini che non sviluppano quella fiducia di base sulla capacita del genitore di prendersi cura di loro e sulla capacità di rispondere in caso di bisogno. Questi bambini dopo una serie di esperienze negative con le figure di riferimento si aspettano di essere rifiutati e cercano di diventare sufficienti sul piano emotivo. In seguito possono essere diagnosticati come personalità narcisista. Sono genitori che respingono ripetutamente il figlio quando si avvicina a cercare conforto e protezione.Esistono poi delle eccezioni sconcertanti in cui il bambino e la madre vengono osservati mentre interagiscono in una serie di brevi periodi, certi bambini sono apparsi disorientati e disorganizzati. Questa particolare forma di attaccamento prende il nome di attaccamento disorganizzato. Spesso si tratta di bambini che sono stati maltrattati fisicamente o fortemente trascurati dal genitore, o ancora di bambini la cui madre sia affetta da una grave forma maniaco depressiva bipolare e che tratta il figlio in modo bizzarro,

o ancora bambini le cui madri possono essere immerse nel lutto per una figura parentale, oppure madri che sono state a loro volta vittime di violenza o maltrattamenti.

Questa breve premessa è necessaria per introdurre la correlazione tra lo stile di attaccamento adulto e le rappresentazioni che l’individuo costruisce nelle relazioni con le figure di accudimento. Numerosi studi confermano che le relazioni di attaccamento della prima infanzia influenzano le relazioni sentimentali da adulti.

Per spiegare la relazione esistente tra lo stile di attaccamento infantile e il sentimento amoroso dobbiamo ricorrere alla nozione di M.O.I (modelli operativi interni) ovvero delle rappresentazioni che il bambino sviluppa nell’infanzia di “Sé” in relazione con la figura di attaccamento. Complementarmente il bambino sviluppa anche un modello operante della mamma che gli consente di fare delle comparazioni durante la sua assenza e di riconoscerla al suo ritorno. La stessa cosa avviene con il padre.

Immaginatevi i MOI quindi come degli occhiali che ci fanno vedere/percepire la realtà in base alla gradazione della lente, per cui una lente “sbagliata” rischia di farci percepire la realtà interna ed esterna in modo distorto. I MOI organizzano pensieri, ricordi e guidano i comportamenti futuri di attaccamento e si formano dalle risposte che il bambino ottiene nei momenti di difficoltà, come ad esempio paura, fame, sonno, malessere ovvero quando si attiva il sistema di attaccamento che è organizzato in modo omeostatico e consente che venga mantenuta una distanza di sicurezza dalla madre. Vediamo con un semplice esempio l’organizzazione omeostatica del Sistema di attaccamento: il bambino ha paura, piange, si è attivato il sistema di attaccamento, che ha la funzione di far avvicinare la madre che se sufficientemente buona recepisce il segnale e placca la paura. L’equilibrio è stato ripristinato.

Secondo gli studi i MOI sarebbero abbastanza stabili nel corso della vita, tuttavia essi possono cambiare attraverso particolari esperienze tra cui la psicoterapia che rappresenta un’esperienza emotiva correttiva.

Questi modelli operativi interni (MOI) inducono la tendenza ad aspettarsi dal partner, quando lo stesso viene vissuto come una figura di riferimento affettivo, risposte simili a quelle avute nell’infanzia. Questo passaggio è fondamentale nell’evoluzione della relazione di coppia, un passaggio che segna un primo aumento di complessità nella relazione. È la fase in cui spesso mi sento dire: “prima era diverso, inizialmente era in un modo e poi è cambiato/a… etc”.

Infatti dopo una prima fase di corteggiamento in cui entrambi i partner mostrano gli aspetti migliori di sé stessi, un po’ come se preparassero il loro curriculum per essere selezionati, si passa a una seconda fase più stabile in cui si cominciano a condividere fragilità e dolori. In questa fase il partner è diventato una figura di riferimento affettivo ed entra in gioco il sistema di attaccamento.

In questa seconda fase i partner dovrebbero iniziare a funzionare come risorsa affettiva e rifugio emotivo reciproco. In questo momento, entrano in gioco in maniera incisiva gli stili di attaccamento che abbiamo creato nell’infanzia (vedi sopra) e che influenzeranno la scelta del partner e la durata della relazione. Spesso iniziano qui le prime difficolta relazionali, difficoltà che nascono talvolta dalle “aspettative” che guidano la nostra mente. All’inizio della relazione abbiamo la convinzione, spesso distorta, di aver incontrato la persona perfetta, la cosiddetta anima gemella. Siamo convinti di aver incontrato il partner perfetto, capace di soddisfare i nostri bisogni se non addirittura capace di anticipare i nostri desideri. Purtroppo con il passare del tempo il partner perde quella maschera irrealistica che noi stessi gli abbiamo messo addosso e iniziamo a relazionarci con l’altro reale. È come se il partner subisse una profonda mutazione, passando dal ruolo di salvatore a quello di carnefice, le nostre aspettative sono state quindi disilluse. E chi è la causa di tutto questo? Il partner ovvio, che ci ha ingannato e deluso. Subentrano frustrazione e rabbia verso il partner che diventa a sua volta vittima delle continue accuse di chi si sente deluso e lo ritiene colpevole della propria sofferenza.

All’inizio dell’articolo affermavo che una delle condizioni per poter vivere delle relazioni sane e soddisfacenti risiede nella capacità di tollerare sentimenti ambivalenti e, aggiungerei, nel non investire l’altro di aspettative irrealistiche. Questo potrebbe essere l’esito di una buona psicoterapia che porta l’individuo ad avere uno stile di attaccamento sicuro. Le persone con uno stile di attaccamento sicuro hanno di solito relazioni più lunghe e di maggiore qualità rispetto agli individui che rientrano nelle altre due categorie.

La scelta del partner sarebbe quindi in gran parte correlata allo stile di attaccamento infantile verso le figure di riferimento principali. La correlazione non è assoluta né vincolante, Bowlby, a proposito della stabilità dei pattern di attaccamento parlava di percorsi evolutivi che possono essere modificati sia in meglio che in peggio dalle esperienze successive. Inoltre diversi studi mostrano una relativa assenza di relazioni in cui entrambi i membri della coppia avrebbero uno stile di attaccamento evitante o ansioso. Mentre soggetti evitanti tendono a scegliere partner ansiosi e viceversa. Questo perché le dinamiche dei modelli operativi interni dell’evitante e quelle dell’ansioso si attraggano reciprocamente.

Nella relazione di coppia tra soggetto ansioso e soggetto evitante, si osserva che per il primo il nodo cruciale nel rapporto è la dipendenza e l’insicurezza rispetto al reale coinvolgimento dell’altro. Questi pensieri vengono confermati dai modelli operativi del soggetto evitante che è invece restio all’ intimità e alla vicinanza psicologica. Di contro le continue richieste di intimità e la mancanza di fiducia dell’individuo ansioso soddisfano a pieno le dinamiche dei modelli operativi interni dell’individuo evitante che vede confermate le sue aspettative. È il classico gioco del tu fuggi io ti inseguo, ma più tu mi insegui più io fuggo. Il soggetto ansioso sceglie un partner che ha anch’esso un attaccamento insicuro, ma opposto al suo, ovvero l’evitante. E viceversa. Questi soggetti tendono a comportarsi in modo non costruttivo nella vita di coppia, soprattutto nelle situazioni di conflitto hanno la tendenza ad acuire il conflitto. L’ansioso può tendere a ribadire il proprio punto di vista e l’importanza delle proprie necessità personali con toni esasperati e controproducenti. Il soggetto evitante invece tende a chiudersi in sé stesso, tenere il broncio rifiutandosi di parlare ed a lasciar fare, ovvero ognuno fa quello che gli pare indipendentemente dall’altro.

In situazioni di conflitto all’interno della coppia (ansioso-evitante) si viene a creare una spirale negativa tra l’espressione del proprio malcontento da parte del soggetto ansioso, che determina un allontanamento da parte del partner evitante, il quale provoca a sua volta un ulteriore malcontento nel primo e così via. Quindi in questa collusione di coppia l’evitante giustifica la necessità di mantenere le distanze psicologiche da un partner ansioso che aspira ad un’eccessiva intimità, mentre questi vede confermata la propria insicurezza e dipendenza. Potremo definire questa modalità di relazione di coppia insicura.

All’opposto invece troviamo le coppie sicure, che danno vita a una relazione stabile. Gli individui con attaccamento sicuro scelgono quel partner che conferma la percezione di sé e degli altri e giustifica la ripetizione dei propri modelli relazionali. È sottointeso che il tipo di attaccamento di coppia influenza lo sviluppo della relazione sia in termini di soddisfacimento che di durata. Ovviamente le coppie formate da entrambi i soggetti sicuri hanno più probabilità di costruire rapporti stabili e soddisfacenti.

Riassumendo, il tipo di attaccamento di coppia influenza lo sviluppo della relazione e il tipo di attaccamento infantile influenza il futuro stile di attaccamento di coppia. È utile sottolineare che l’attaccamento infantile è diverso da quello adulto. Infatti mentre l’attaccamento infantile è di solito complementare, ovvero chi fornisce cure non le riceve, l’attaccamento adulto è di tipo simmetrico cioè chi fornisce cure le può anche ricevere, cure e sostegno sono in questo caso reciproci. Inoltre la figura di attaccamento adulta è anche un partner sessuale e implica l’integrazione di tre sistemi: attaccamento, accudimento e accoppiamento. Questi tre sistemi prendono il nome di SMI (sistemi motivazionali interni). Usando una metafora potremo vedere i SMI come una sorta di termostato che regola il clima della relazione di coppia. I SMI rappresentano una serie di regole innate, interne a tutti noi, che regolano le interazioni sociali per il raggiungimento di una meta, ai fini della sopravvivenza. Essi vengono attivati da segnali specifici, spesso al di fuori della volontà

dell’individuo rivestono un ruolo fondamentale nella formazione della coppia e nella sua qualità relazionale proprio come gli stili di attaccamento.

Pur con l’aggiunta del ruolo del sistema motivazionale sessuale e con la reciproca attivazione dei sistemi di attaccamento e accudimento, il rapporto di coppia ha caratteristiche simili a quelle dell’attaccamento infantile. Come nell’attaccamento infantile possiamo ipotizzare di delineare diverse tipologie di attaccamento adulto:

1. Attaccamento di coppia sicuro, caratterizzato da fiducia e intimità. I soggetti hanno un funzionamento mentalmente equilibrato, hanno una buona stima di sé e del partner che viene percepito come sensibile e disponibile. Si sentono a loro agio sia in intimità che in autonomia. Questo tipo di relazioni è caratterizzato da una disponibilità a dare cure e chiedere cure da parte di entrambi i partner. Sono in genere rapporti di coppia caratterizzati dall’ assenza di gelosia e mantenuti vivi grazie alla capacità di entrambi di parlare, ragionare e negoziare in caso di conflitto.

2. Attaccamento insicuro-ansioso. La caratteristica di questa tipologia di attaccamento è la preoccupazione intensa per la relazione. Sono soggetti che presentano una bassa stima di sé combinata con la tendenza a valutare positivamente gli altri, che li porta a cercare di accettarsi attraverso l’approvazione della persona amata. La relazione è contrassegnata da alti e bassi emotivi, da un atteggiamento ossessivo verso il partner che viene spesso idealizzato, dalla tendenza a cercare l’appoggio del partner e da una gelosia ossessiva patologica.

3. Attaccamento insicuro – evitante, caratteristica principale è la paura o il rifiuto dell’intimità. Sono soggetti che hanno sperimentato poche esperienze positive e che tendono a una iper valutazione di sé stessi accompagnata da una negativa disposizione verso l’altro che viene spesso percepito inconsciamente come inaffidabile o rifiutante. Quindi questi soggetti si proteggono dal timore di essere rifiutati evitando il coinvolgimento emotivo e mantenendo un senso di indipendenza.

4. Attaccamento di coppia disorganizzato, difficilmente durevole perché caratterizzato da modelli mentali molteplici e incoerenti, valutazione di sé e dell’altro molto negative. Questo rende impossibile stabilire rapporti di coppia se non con altri soggetti disturbati.

Dr. Antonello Melis
Psicologo • Psicoterapeuta
Cagliari

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Le maschere del narcisista

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Le maschere del narcisista gli permettono di trasformare stati potenzialmente dolorosi in una esperienza sopportabile, e forse addirittura piacevole. Portare una maschera significa cambiare in un altro tipo di persona quando ci si trova davanti al disagio, a sentimenti che turbano. La maschera in qualche modo risponde, metaforicamente, ad una esigenza di protezione.

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La dipendenza sessuale

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La dipendenza sessuale, o Ipersessualità, è un disturbo psicologico, che include una vasta gamma di comportamenti: la promiscuità sessuale, la masturbazione compulsiva, il sesso a pagamento e l’ utilizzo eccessivo di materiale a contenuto pornografico.

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Coppia: Narcisista VS Dipendente

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La coppia narcisista-dipendente in genere vede lui narcisista e lei dipendente, ma vi assicuro capita serenamente anche il contrario. Se riconoscete nel vostro lui o nella vostra lei il narcisista o il dipendente, (di seguito elenco le caratteristiche tipo del Dipendente e del Narcisista tratte dal manuale di psichiatria) anche voi, in qualche modo, fate parte del gioco. Non esiste narcisista senza dipendente affettivo, e viceversa.

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Psicoterapia l’ansia e l’attacco di panico

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“Supponete che i pensieri siano palloni: l’ansioso ci si ferirebbe lo stesso”

Henri Michaux

In una sua famosa citazione, Robert Owen scrisse: “Nel mondo siamo tutti matti, tranne me e te; ma anche tu sei un pochino strano”. In realtà e per nostra fortuna, siamo tutti un pochino ansiosi e in tante sono le persone ad esserlo più di altre, spesso arrivando al punto di condurre una vita tragica.

Robert Owen era un riformatore sociale inglese che visse a cavallo tra il settecento e l’ottocento, la sua battuta è valida perché ci suggerisce quanto tutti noi siamo portati a notare i comportamenti “strani” degli altri, più di quanto siamo in grado di osservare i nostri che spesso magari lo sono anche di più, un atteggiamento questo che è molto noto agli psicoanalisti, ma che già l’evangelista Matteo, aveva sottolineato nel suo: “perchè guardi la pagliuzza che c’è nell’occhio del tuo fratello e non vedi la trave che c’è nel tuo occhio?

La cosa certa è che ognuno di noi, anche se in modi differenti, ha delle manie, delle fissazioni e delle abitudini “ridicole” diverse, e che tutto dipende dal grado di comportamento che, quando è appena accennato non disturba affatto e anzi può anche essere utile, ma quando invece risulta troppo marcato, assorbe le nostre energie psichiche a tal punto da divenire decisamente limitante per la nostra vita.
La parola “ansia” deriva dal termine latino “anxius” che significa affannoso, inquieto, e la radice di questo termine è quella del verbo latino “angere” che vuol dire strigere, soffocare. In una condizione di normalità l’ansia è uno stato di attivazione, di carica psicologica e organica, che ci consente di affrontare i problemi quotidiani con quella grinta necessaria per la loro risoluzione, è una tensione positiva e creativa, alla base dell’intelligenza, fa parte della natura umana, a partire dall’infanzia con la paura dell’ignoto, per proseguire nell’arco della vita, concludendosi con la paura di quell’ignoto che è la morte. Quando l’ansia è patologica ci sono una serie di combinazioni di emozioni negative, non commisurate alla situazione e che si verificano in assenza di reale pericolo. La sindrome ansiosa può esprimersi con una serie di: Sintomi Cognitivi, come inquietudine e tensione interiore; Psicomotori-Comportamentali, come agitazione psicomotoria; Vegetativi, come pallore, iperidrosi e tachicardia.

L’ansia può originare da tre fattori principali:

Biologici, in questo caso si prevede che i sintomi dell’ansia siano causati da uno squilibrio dei neurotrasmettitori messaggeri chimici, come la serotonina e la noradrenalina;

Cognitivi, cioè da una aspettativa di pericolo rappresentata da una serie di processi mentali volti a valutare se stessi e la situazione in cui ci si trova;

Comportamentali, attivati per reagire alla situazione e ristabilire le condizioni ottimali di benessere, affrontando il problema di petto, oppure evitando e rimandando il problema e ottenendo un senso di sollievo immediato.

Tra i disturbi d’ansia troviamo il Disturbo di panico (DP), che è tra i disturbi psichiatrici più diffusi, sebbene le manifestazioni siano acute e si sviluppIno in un lasso di tempo molto breve che va dai 10 ai 20 minuti, è una patologia che tende a cronicizzare, caratterizzato dal susseguirsi di uno o più attacchi di ansia acuti (sintomi somatici prevalentemente respiratori e cardiaci), e psichiatrici (senso di derealizzazione, senso di depersonalizzazione, paura di morire o di impazzire).
Solitamente l’esordio del DP avviene tra i 20-24 anni e se il disturbo non verrà trattato tenderà a cronicizzarsi, è più comune nelle femmine rispetto ai maschi e c’è un tasso di morbilità superiore nei familiari di primo grado.

Gli attacchi di panico possono verificarsi anche la notte, in questo caso si tratterà di avere difficoltà ad addormentarsi o avere risvegli dal sonno con intense sensazioni di ansia e paura. Alcuni credono che gli attacchi di panico notturni siano semplici incubi, tuttavia a differenza di un incubo, quando una persona avrà un attacco di panico notturno non ricorderà il sogno e la condizione di ansia permarrà per lungo tempo, influenzandola nella sua qualità di rilassamento e di sonno.

L’indagine psicoterapeutica mette in risalto una serie di tratti e vissuti che caratterizzano sistematicamente l’infanzia del paziente DAP, nel periodo evolutivo questi soggetti vivono infatti un clima caratterizzato da apprensività e iperprotezione da parte della figura materna che avrà un’immagine del proprio figlio idealizzata.
Questo atteggiamento relazionale mette in evidenza un inconscio rifiuto materno di alcuni tratti della personalità del figlio, che verranno sostituiti con altrettanti tratti idealizzati. In questa dinamica  il figlio risponderà tentando di fare propri i tratti che la mamma proietta in lui sviluppando un “falso sè”, cioè una maschera psicodinamica che eserciterà una funzione rassicurante e protettiva, come risoluzione all’ansia dell’abbandono e del rifiuto materno. Infatti il bambino ha bisogno dell’accettazione materna e la presenza di sentimenti di inadeguatezza, pongono il suo fragile “Io” nella condizione di costruire e aderire gradualmente ad una artificiosa immagine di sé vivendo questo costrutto come reale e fonte di sicurezza per neutralizzare l’ansia abbandonica.

I disturbi d’ansia vengono curati con i farmaci associati alla psicoterapia, infatti il farmaco da solo risulterà efficace durante l’assunzione da parte del paziente con DAP, ma all’interruzione della farmacoterapia la sintomatologia si ripresenterà. Gli psicofarmaci infatti riducono l’intensità dei sintomi, ma sembra che lascino inalterate le loro cause. La psicoterapia che viene utilizzata è solitamente di tipo cognitivo-comportamentale (TTC), molto efficace per combattere i disturbi d’ansia, l’approccio cognitivo aiuterà il paziente a cambiare gli schemi di pensiero che stanno alla base delle sue paure, mentre l’approccio comportamentale modificherà il modo di reagire alle situazioni che gli scatenano l’ansia. Anche l’ipnosi risulta spesso efficace per curare i disturbi di ansia e attacchi di panico, è una tecnica che si basa sulla provocazione di uno stato di trance della persona, finalizzato a generare uno stato più ricettivo verso gli stimoli provenienti dal subconscio.

Personalmente per la cura del DP utilizzo un tipo di Psicoterapia chiamata EMDR (desensibilizzazione e rielaborazione attraverso movimenti oculari), un metodo ideato dalla psicologa statiunitense Shapiro Francine nel 1987 . L’EMDR e stato utilizzato con successo anche per curare i sopravvissuti e i familiari delle vittime del crollo delle torri gemelle dell’undici settembre del 2001.

Per concludere si può sostenere quindi che l’ansia abbia due volti e con uno di questi può rovinare e sconvolgere l’esistenza di una persona e di coloro che gli vivono accanto, con l’altro volto invece spinge al miglioramento e all’applicazione del proprio ingegno, con un effetto costruttivo. Quando subentra l’attacco di panico il soggetto che ne soffre svilupperà “la paura della paura”, avrà paura di avere l’attacco di panico e quindi sarà sempre teso e preoccupato. Per affrontare in modo curativo dal punto di vista psicologico i disturbi d’ansia e l’attacco di panico, la cura migliore rimane la psicoterapia associata quando necessario al supporto farmacologico.

 

Dr. Antonello Melis
Psicologo • Psicoterapeuta
Cagliari

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